Mentre l’intelligenza artificiale si afferma come uno degli strumenti più diffusi e rivoluzionari degli ultimi anni, c’è chi ha scelto consapevolmente di non utilizzarla. Per motivi etici, ambientali o semplicemente personali, un numero crescente di professionisti rifiuta di integrare l’AI nelle proprie attività quotidiane, anche a costo di rallentare la propria carriera.
Secondo i dati di Semrush, ChatGPT da solo registra oltre 5 miliardi di visite mensili, ma nonostante la sua diffusione capillare, esiste una resistenza sempre più articolata.

“Non voglio leggere ciò che nessuno ha scritto davvero”
Sabine Zetteler, fondatrice di un’agenzia di comunicazione a Londra, è tra le voci più ferme contro l’automazione dei contenuti creativi. Per lei, affidarsi a un sistema di AI per scrivere, progettare o comunicare svuota di senso il lavoro umano.
“Perché dovrei leggere qualcosa che nessuno si è preso la briga di scrivere?”, afferma Zetteler, citando una frase che ha fatto sua.
Nella sua agenzia con una decina di dipendenti, ha scelto di non sostituire nessuna figura umana con un algoritmo, anche se ciò comporta margini di profitto più bassi.
Impatto ambientale: un’altra motivazione crescente
Anche Florence Achery, fondatrice di Yoga Retreats & More, ha detto no all’intelligenza artificiale, ma per motivi ecologici. Come sottolineato in un rapporto di Goldman Sachs, una singola richiesta a ChatGPT consuma circa 10 volte più elettricità di una query Google, generando un’impronta energetica significativa.
“L’AI è senz’anima e in contraddizione con la mia attività, che si basa sulla connessione tra esseri umani”, spiega Achery, aggiungendo che pochi sono consapevoli del peso ambientale delle tecnologie AI.
“Pensare è un esercizio umano, non delegabile a un bot”
Sierra Hansen, impiegata nel settore pubblico a Seattle, rifiuta l’intelligenza artificiale perché teme che riduca le capacità cognitive individuali. Per lei, l’uso eccessivo di strumenti automatizzati disabitua al pensiero critico e alla risoluzione dei problemi.
“Se ChatGPT organizza la tua giornata o scrive al posto tuo, smetti di esercitare il cervello”, avverte.
Quando dire “no” all’AI diventa un rischio per la carriera
Tuttavia, non tutti possono permettersi di rifiutare l’intelligenza artificiale. Jackie Adams (nome fittizio), copywriter in un’agenzia di marketing, ha ceduto all’uso dell’AI dopo aver dovuto tagliare il budget e fronteggiare richieste di maggiore produttività.
“Non potevo più permettermi di evitarla. Se non la integravo nel mio lavoro, rischiavo di restare indietro.”
Oggi utilizza l’AI per rifinire testi e modificare immagini, pur mantenendo una certa diffidenza di fondo verso la sua diffusione pervasiva.
Il futuro? Una coesistenza tra uomo e macchina
Secondo James Brusseau, filosofo esperto di etica dell’intelligenza artificiale presso la Pace University di New York, il vero discrimine sarà il valore della comprensione.
“Se vogliamo sapere perché viene presa una decisione, ci servirà un essere umano. Se ci interessa solo il risultato, andrà bene un algoritmo.”
Per Brusseau, in futuro resteranno umani i medici, i giudici e i ruoli decisionali complessi, ma previsioni del tempo, report analitici e altre attività ripetitive verranno quasi interamente automatizzate.
Conclusione: tra etica, sostenibilità e libertà personale
Dire no all’AI è oggi una scelta che pochi fanno, ma che molti iniziano a considerare con maggiore attenzione. Non si tratta solo di una questione di progresso tecnologico, ma anche di identità professionale, impatto ambientale e rapporto tra l’uomo e le sue creazioni.
Mentre l’intelligenza artificiale evolve, è probabile che il dibattito si sposterà sempre di più dal “se usarla” al “come e quando usarla”, mantenendo l’essere umano al centro delle scelte.