Negli ultimi anni sempre più donne stanno denunciando la medesima questione: gli obiettori di coscienza stanno diventando sempre più numerosi e per poter procedere all’interruzione volontaria della gravidanza si è costretti a peregrinare tra più ospedali, arrivando anche a dover cambiare regione e rischiando di superare il periodo entro cui la legge permette di eseguire l’intervento.
Eppure l’aborto volontario è un diritto di ogni donna sancito dalla legge da molti anni ormai: dopo anni di battaglie, il 22 maggio del 1978 venne promulgata la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, nota come Legge 194.
A quarant’anni di distanza uno dei diritti più basilari all’autodeterminazione femminile viene ancora messo in discussione, attaccato, strumentalizzato.
Oggi la media nazionale degli obiettori è del 70% e arriva al 90% in alcune regioni in cui interi complessi ospedalieri non sono in grado di offrire il servizio previsto dalla legge.
Sette ginecologi su dieci in Italia quindi non praticano l’aborto. Una percentuale molto alta e non distribuita uniformemente sul territorio nazionale, con situazioni surreali in regioni come Molise (97%), Basilicata (88%), Puglia (86%), Abruzzo e Sicilia (85%), provincia di Bolzano (84%), Campania (82%).
In queste circostanze le donne si ritrovano spesso in situazioni limite in cui vengono abbandonate dal personale medico che invocando l’obiezione di coscienza si rifiuta di espletare le sue funzioni anche quando queste dovrebbero essere garantite dalla legge.
Una situazione di stress che, nella migliore delle ipotesi, rende ancora più acuta la sofferenza che già accompagna questa esperienza e, nella peggiore, porta le donne che non trovano posti disponibili a ricorrere all’aborto clandestino.
E il nostro paese come sta reagendo a questa situazione?
“Verona città a favore della vita“: così proclama una mozione approvata qualche notte fa dal Consiglio comunale del capoluogo veneto che stanzia fondi a favore delle associazioni cattoliche per iniziative contro l’aborto.
Nello specifico, la mozione impegna il sindaco Federico Sboarina e la Giunta a sostenere iniziative per la prevenzione dell’aborto con “l’inserimento nel prossimo assestamento di bilancio di un congruo finanziamento ad associazioni e progetti che operano nel territorio del Comune di Verona“, a proclamare ufficialmente Verona “città a favore della vita” e a promuovere il progetto della Regione Veneto “Culla segreta”, “stampando e diffondendo i suoi manifesti pubblicitari nelle Circoscrizioni e in tutti gli spazi comunali”.
Il progetto regionale permette a una donna di partorire restando anonima e di non riconoscere il neonato alla nascita, che verrà inserito in una famiglia adottiva idonea, scelta dal Tribunale dei Minorenni.
A Verona, del resto, gli ambienti di estrema destra hanno una notevole influenza sulla politica locale e sulla società civile, ed è risaputo che questi ambienti hanno da sempre legami con le attive e numerose associazioni religiose.
Perché, come ben sappiamo, per i cattolici la vita è sacra e va salvaguardata anche quando si tratta di un feto di poche settimane.
Papa Francesco all’udienza generale tenutasi in queste ore torna a parlare dell’aborto, e come già aveva fatto altre volte lo condanna come atto contro la vita.
“Io vi domando: è giusto fare fuori una vita umana per risolvere un problema?”. E ancora, le parole più dure: “È come affittare un sicario”.
E ancora: “Tutto il male operato nel mondo si riassume in questo: il disprezzo per la vita. La vita è aggredita dalle guerre, dalle organizzazioni che sfruttano l’uomo, leggiamo sui giornali o vediamo sui telegiornali tante cose, dalle speculazioni sul creato e dalla cultura dello scarto, e da tutti i sistemi che sottomettono l’esistenza umana a calcoli di opportunità, mentre un numero scandaloso di persone vive in uno stato indegno dell’uomo. Questo è disprezzare la vita, è uccidere”.
Papa Francesco si è soffermato a lungo sull’aborto parlando del comandamento: “Non uccidere”. Ha parlato in particolare dell’aborto terapeutico, e ha affermato: “Ogni bambino malato è un dono”.
“La violenza e il rifiuto della vita – ha osservato – nascono in fondo dalla paura. L’accoglienza dell’altro, infatti, è una sfida all’individualismo“.
“Pensiamo – ha continuato il pontefice – a quando si scopre che una vita nascente è portatrice di disabilità, anche grave. I genitori, in questi casi drammatici, hanno bisogno di vera vicinanza, di vera solidarietà, per affrontare la realtà superando le comprensibili paure. Invece spesso ricevono frettolosi consigli di interrompere la gravidanza”.
“Un bimbo malato – ha insistito Bergoglio – è come ogni bisognoso della terra, come un anziano che necessita di assistenza, come tanti poveri che stentano a tirare avanti: colui, colei che si presenta come un problema, in realtà è un dono di Dio che può tirarmi fuori dall’egocentrismo e farmi crescere nell’amore”. “La vita vulnerabile – ha poi concluso – ci indica la via di uscita, la via per salvarci da un’esistenza ripiegata su sé stessa e scoprire la gioia dell’amore”.
Ma come bilanciare tutto questo col diritto, fino a prova contraria, sacrosanto di ogni donna di gestire liberamente del proprio corpo, del proprio utero, del proprio futuro irrimediabilmente “compromesso” da una gravidanza indesiderata?
Quarant’anni dopo la sua approvazione, la Legge 194 è stata definita dal Guttmacher Institute americano una delle migliori al mondo, eppure ancora oggi chi decide di ricorrere all’Ivg si deve armare di pazienza e perseveranza.
Che poi, diciamocela tutta, abolire la 194 vorrebbe dire abolire l’aborto o semplicemente costringere migliaia di donne a praticare aborti clandestini mettendo a repentaglio la propria di vita?
In questi quattro decenni la legge 194 ha “ucciso” sei milioni di innocenti, come urlano i proclami dei cattolici, ma ha anche garantito in Italia la sopravvivenza di altrettante donne che hanno potuto abortire in sicurezza.
Vogliamo veramente tornare indietro e ricominciare a combattere per il diritto di scelta di ogni donna?

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