Da anni ormai si parla di accanimento terapeutico, perché tra speranza di salvezza ed inutili cure dolorosissime che si trasformano addirittura in “violenze” la linea è sottilissima e non ben tracciata.
E la questione diviene ancora più delicata quando si tratta di bambini: nessun genitore al mondo, infatti, vuole arrendersi all’idea di perdere un figlio, ma allo stesso tempo non si sa bene fino a dove è lecito spingersi con le terapie, soprattutto quando la scienza non dà più alcuna speranza di salvezza.
In queste ore una risposta arriva dal Comitato Nazionale per la Bioetica, secondo cui nei confronti di bambini piccoli con limitate aspettative di vita vanno evitati “l’accanimento e percorsi clinici inefficaci e sproporzionati, tali da arrecare al paziente ulteriori sofferenze e un prolungamento precario della vita senza ulteriori benefici”.
I bioeticisti hanno poi sottolineato che “per quanto riguarda i bambini piccoli va riconosciuto che nella prassi l’accanimento clinico è spesso praticato perché quasi istintivamente, anche su richiesta dei genitori, si è portati a fare tutto il possibile, senza lasciare nulla di intentato, per preservare la loro vita, senza considerare gli effetti negativi che ciò può avere sull’esistenza del bambino in termini di risultati e di ulteriori sofferenze”.

“Evitare che il divieto di ostinazione irragionevole dei trattamenti si traduca nell’abbandono del bambino nei cui confronti da parte dei medici resta fermo l’assoluto dovere di trattamenti e sostegni appropriati, siano essi presidi tecnologici o farmacologici, e di cure palliative con l`accompagnamento nel morire, anche attraverso la sedazione profonda continua in associazione con la terapia del dolore“, aggiungono poi.
E alla fine si raccomanda di “evitare che il bambino, a maggior ragione con prognosi infausta a breve termine, sia considerato un mero oggetto di sperimentazione e ricerca da parte dei medici“.