Per la Corte di Cassazione un datore di lavoro può controllare che cosa dicono i suoi dipendenti su Facebook e lo può fare anche usando falsa identità.
Mala tempora currunt per i lavoratori che amano intrattenersi su Facebook anche durante l’orario di lavoro.
La Corte di Cassazione, infatti, in una recente sentenza ha stabilito che un datore di lavoro può controllare il dipendente con qualsiasi modo ritenga opportuno.
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Secondo la Suprema Corte è legittimo per il datore di lavoro anche utilizzare un falso nome su Facebook se questo può servire a smascherare il lavoratore che chatta mettendo a rischio il regolare funzionamento dell’azienda o, peggio, gli impianti di sicurezza.
La falsa identità in questo caso è lecita poiché “non ha a oggetto l’attività lavorativa e il suo esatto adempimento, ma l’eventuale perpetrazione di comportamenti illeciti da parte del dipendente” già “manifestatisi” in precedenza.
I giudici della Corte di Cassazione hanno emesso questa sentenza dopo essere stati chiamati in causa per decidere sul licenziamento per giusta causa di un operaio abruzzese.
Il lavoratore, addetto alle presse di una stamperia, aveva abbandonato il posto di lavoro per chattare.
Proprio in quei quindici minuti di assenza ingiustificata, una lamiera aveva bloccato l’intero meccanismo provocando seri danni all’azienda.
L’operaio in questione era recidivo, infatti, nel suo armadietto c’era un iPad. Il responsabile del personale dell’azienda per coglierlo sul fatto, aveva deciso di crearsi una falsa identità.
Ed è stato proprio grazie a questo espediente che l’operaio “chatterino”, è stato smascherato.
