Era una eventualità che si attendeva, ed è puntualmente arrivata, purtroppo: ArcelorMittal ha confermato di volersi tirare fuori dall’Ilva, nonostante le minacce, neppure troppo velate, arrivate dal Presidente Giuseppe Conte e dal governo, che sta trattando da giorni, finora inutilmente, per cercare una soluzione.
Il gruppo va avanti dritto per la sua strada: i legali hanno infatti depositato l’atto di citazione al Tribunale di Milano annunciato la scorsa settimana per il recesso dal contratto, mentre l’azienda ha consegnato ai lavoratori dell’altoforno 2 il cronoprogramma per lo spegnimento.
ArcelorMittal tramite i suoi legali spiega di aver “esercitato il recesso in conformità alle applicabili disposizioni contrattuali subito dopo che la legge numero 128 del 2 novembre 2019 ha eliminato la protezione legale per le attività svolte nello stabilimento di Taranto”. Per il gruppo franco-indiano “la protezione legale costituiva una tutela essenziale”, perché consentiva loro di operare “senza incorrere in eventuali responsabilità (anche penali) conseguenti, tra l’altro, a problemi ambientali ereditati dalle precedenti gestioni societarie e commissariali dello stabilimento di Taranto”.
Conte ha subito invitato il patron Lakshimi Mittal a sedersi al tavolo della trattativa aprendo alla possibilità di reintrodurre lo scudo penale qualora la multinazionale avesse deciso di rivedere la decisione di disimpegnarsi da Taranto, ma a quanto pare i suoi tentativi sono caduti nel vuoto.